La risposta di Bruxelles a Trump e a Putin:subito Kiev nella Ue
*pubblicato su L’Altra voce il 4/7/25
I sistemi d’arma americani bloccati in Polonia dovrebbero continuare presto il loro viaggio verso Kiev. Si tratta di oltre due dozzine di missili PAC-3 Patriot, più di due dozzine di sistemi di difesa aerea Stinger, missili aria-terra Hellfire e oltre 90 missili aria-aria AIM destinati all’uso con i caccia F-16 dell'Ucraina. Un errore, una svista, una decisione assunta ai massimi livelli del Pentagono (ma non dal sottosegretario Hegseth bensì da un suo vice) ufficialmente per scarsità di scorte negli arsenali Usa. Motivazione non solida. Come che sia, un segnale chiaro che Washington non è più affidabile, purtroppo. Motivo per cui l’Unione europea “deve intensificare gli aiuti militari a Kiev” ha detto Ursula von der Leyen ieri durante la conferenza stampa per l’avvio della presidenza danese dell’Unione europea. Von der Leyen ieri era in Danimarca e ha incontrato Zelesnky mentre dall’Ucraina arrivano le notizie di ulteriori bombardamenti. “Questo è un chiaro segnale che ci invita a rafforzare il nostro sostegno e ad aumentare senza alcuna incertezza le nostre capacità di difesa europee, non solo a livello di Unione ma anche a livello continentale”. E dire che solo una settimana fa Donald Trump a L’Aja nella conferenza stampa finale del summit Nato aveva “promesso” ad una giornalista ucraina in forza alla Bbc in Polonia, con due figli a carico e il marito al fronte, che avrebbe fatto il possibile per fornire altri missili a Kiev, nello specifico i Patriot. Ecco, quando l’interlocutore è così poco affidabile, al di là di come svilupperà la faccenda della consegna delle armi, è chiaro che non si può fare affidamento.
Sveglia Europa, quindi. E basta polemiche sul 5% di spese per la difesa che poi è il 3,5% (il restante 1,5% saranno investimenti e infrastrutture e telecomunicazioni dual use e quindi utili a tutti) che poi è solo l’1,5% rispetto ad oggi e spalmato in dieci anni. Si tratta di 1750 miliardi suddivisi fra i 32 paesi entro il 2035.
Le parole di von der Leyen erano attese da mercoledì quando la notizia dello stop delle forniture e dei contestuali bombardamenti russi su Kiev ha tolto la parola a tutte, o quasi, le cancellerie europee. E se da una parte “è urgente continuare a fare pressioni su Putin affinché torni al tavolo dei negoziati” dall’altra il tempo delle illusioni è finito. “Se gli Stati Uniti decidessero di non fornire all’Ucraina ciò di cui ha bisogno, sarebbe un grave passo indietro per l’Ucraina, per l’Europa e per la Nato, perché la guerra in Ucraina non è mai stata solo una questione ucraina. Questa è una guerra sul futuro dell’Europa” ha dichiarato la premier danese Friedisken convinta che Putin “non intenda fermarsi all’Ucraina nel suo progetto di riconquista”. Quindi avanti con le sanzioni alla Russia ( è pronto il diciottesimo pacchetto) e tutte le misure utili ad indebolire l’economia russa” che è ormai un’economia di guerra, dove un soldato guadagna il doppio di un professore e, chiaramente, è destinata ad implodere in un tempo abbastanza breve. Sul campo, poi, Mosca perde “più di mille persone al giorno”. E’ una stima Nato.
Diplomazia, armi e politica. L’Europa, sempre più orfana di Washington, prova a mettere in campo tutte le strategie per assumere un ruolo di leadership nel conflitto russo-ucraino. L’iniziativa diplomatica è stata assunta ancora una volta dal presidente Macron che il primo febbraio ha avuto, dopo tre anni di gelo, una lunga telefonata con Putin. Ieri su Le Monde è stato pubblicato un lungo retroscena della telefonata. Macron ha ricordato l’urgenza di un cessate il fuoco ma, come si legge sul quotidiano francese, “l’impasse è totale e le divergenze, dai territori conquistati o meno alle garanzie di sicurezza per il futuro, non sono in alcun modo conciliabili”.
Sul tavolo della politica Bruxelles mette l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea. Su questo punto è stato chiarissimo ieri Antonio Costa, il presidente del Consiglio Ue che ha rinnovato l’invito a tutti i paesi a fare presto. “Non dobbiamo perdere altro tempo, Kiev sta facendo le riforme e invito la Commissione e l’Ucraina a continuare il lavoro e poi, quando saremo in grado di ottenere l’approvazione, andremo avanti”. Non deve sfuggire che l’appello di Costa arriva nel giorno in cui con il solito tempismo dettato da Mosca il presidente ungherese Viktor Orban rivendica di aver “bloccato la loro adesione all'Ue. Non vogliamo la guerra e non permetteremo la distruzione dell'economia europea, compresa quella ungherese”. A Orban, dopo Costa ha risposto anche von der Leyen: “Il processo è meritocratico e noi crediamo che Kiev meriti l’apertura del primo capitolo negoziale” su un totale di tre. Gli ostacoli sono solo politici. O meglio, ungheresi. Orban, ventriloquo di Putin, va ripetendo da tre anni che l’adesione di Kiev all’Unione “rovinerebbe il blocco europeo” e grazie al potere di veto ne blocca il percorso da tre anni. Perchè Putin non la vuole, così come non vuole quella alla Nato. Ma se quest’ultima è stata nei fatti superata, l’ingresso nella Ue è irrinunciabile per Bruxelles. Da lì passa la pace “giusta e duratura” che è l’obiettivo anche del governo Meloni. Ieri il ministro Tajani era in Senato per il question time ha ripetuto che l’Italia sta dalla parte dell’Ucraina e lo strumento sono le sanzioni. Intanto Roma organizza alla fine della prossima settimana (10-13 luglio) una conferenza sulla ricostruzione in Ucraina. Un po’ presto, forse.
E poi c’è il capitolo armi. Il 5% , anzi il 3,5%, è un dato acquisito. Ma occorre trovare risorse adesso. Francia (con il progetto Mirage), Regno Unito e Germania stanno già collaborando con la produzione militare di Kiev che in tre anni è diventata più potente di quella europea nel suo insieme. Zelensky ha detto di aver firmato un accordo con l’azienda americana Swift Beat per la produzione di droni per l'esercito ucraino. Per tutto questo servono “finanziamenti significativi” ai quali la Danimarca potrebbe contribuire. Il paese scandinavo già oggi super il 3% del pil per le spese della difesa. La presidenza danese punta molto sull’ aumento delle capacità militari dei 27 attraverso procedure e prestiti agevolati agli Stati per finanziare gli investimenti nell’industria europea della difesa.